Veleggiare verso Goli Otok - L'inferno nella famigerata Alcatraz croata

Veleggiare verso Goli Otok - L'inferno nella famigerata Alcatraz croata
20/01/2020

Navigando verso nord attraverso il canale di Velebit, al largo della costa settentrionale della Croazia, tra le isole di Rab e Veglia (Krk), ci siamo imbattuti in un gruppo di tre isole minori. Una di queste ci ha colpito in modo particolare ergendosi a picco, bianchissima, sul blu cobalto del mare Adriatico. Questo sperone roccioso è l’isola Calva (Goli Otok) ed è così denominata per via del suo aspetto: la parete rocciosa esposta è nuda e spoglia perché la vegetazione viene spazzata via dai forti venti di bora che soffiano da nord, soprattutto in inverno. Sembra quasi impossibile riuscire a sopravvivere su quest'isola austera, essa fu invece teatro di vicende segrete e tragiche.

Abbiamo costeggiato l'isola fino a quando, in un bacino leggermente riparato sul lato occidentale, non abbiamo visto degli alberi e un porticciolo chiamato Mala Tetina. Abbiamo ormeggiato la barca in acque profonde più di 3 metri con pontili piuttosto alti - circa 1,3-1,5 metri - salire e scendere dalla barca non è però un problema. Davanti al porto c'erano i resti fatiscenti, seppur imponenti, di edifici e costruzioni da tempo abbandonati. Incuriositi, avremmo voluto saperne di più e così abbiamo attraccato il nostro yacht e siamo andati in esplorazione.

Riesce difficile immaginare come, nella serenità e bellezza di un simile scenario, con le imponenti cime del Velebit a fare da sfondo, possano aver avuto luogo fatti atroci, fino a quando non ci si addentra tra le rovine e si scopre la storia dell'isola. L’isola Calva è nota come "l'Alcatraz croata", un'isola-prigione in funzione dopo la seconda guerra mondiale, dal 1948 al 1989, nella Jugoslavia del regime di Tito.

Goli otok, Croazia

Durante la guerra l’isola venne utilizzata principalmente per i prigionieri russi, ma nel periodo che precede il 1956, quando era attivo l'Informbiro (Ufficio d'informazione), era un oscuro segreto. I prigionieri politici, gli stalinisti e gli oppositori del regime di Tito, vennero orribilmente  maltrattati e torturati. In seguito divenne una prigione per criminali. Dalle statistiche risulta che nell’isola venivano tenuti più di 3.500 prigionieri alla volta, 16.000 nel corso degli anni, e circa 400 persone morirono a causa di malattie e sfinimento. Inizialmente vi furono imprigionate anche le donne, tenute completamente separate dagli uomini, ma le detenute vennero poi trasferite in una delle isole adiacenti, San Gregorio (Sveti Grgur). Il gulag dell’isola Calva è in stato di abbandono dal momento della sua chiusura ed è aperto al pubblico.

Vicino al porto c'è la reception per i visitatori, un edificio amministrativo e un ristorante (Konoba) dove abbiamo pranzato. Il ristorante è aperto nella stagione estiva, dalla fine di maggio alla fine di settembre, così come lo è il cinema dove, per sole 15 kune (circa 2 euro), abbiamo visto un documentario di 11 minuti con sottotitoli in molte lingue: un amaro assaggio di come dev'essere stata la vita dei detenuti. Il cinema e un teatro all'aperto erano le sole possibilità di svago nella misera vita dei carcerati, a cui era consentito vedere un film o assistere ad uno spettacolo una volta al mese. Attualmente, in estate, si tengono periodicamente spettacoli teatrali che illustrano episodi drammatici di quegli anni.

C’è poi una mostra che comprende manufatti realizzati dai detenuti, oltre che alcuni loro oggetti personali. Nei mesi estivi è possibile fare un tour di 20 minuti in treno, il biglietto costa 30/40 kune (5 euro). Noi abbiamo invece scelto di camminare e ci abbiamo messo più o meno un’ora per attraversare l'isola, che si estende per 4,5 km.

L'angosciante e tristemente nota Petrova Jame (Grotta di Pietro), un tempo chiamata Campo 101, è un buco infernale nel terreno. Era circondata da un muro alto tre metri e non aveva accessi. È qui che finivano gli ufficiali di alto rango e il nome deriva da Petar Komnenić, il vice primo ministro del Montenegro, che fu la prima persona ad esservi buttata dentro.

È inquietante camminare tra le rovine del campo che i poveri prigionieri costruirono con le proprie mani. Sono ancora visibili una pista da bowling, la zona industriale, i ruderi di fabbriche e botteghe artigiane, l'edificio della quarantena e dell'ospedale e la Sezione 102, recintata da filo spinato, che conteneva le carceri e le celle di isolamento.

Goli otok - prigione

Nell’isola c'è anche un altro porto, è vuoto e più grande di Mala Tetina e ha le dimensioni di un porto turistico. È il Port Melna e si trova anch'esso sul lato occidentale dell'isola, ma un po' più a sud. Confina con alcuni edifici industriali in rovina ed è un vecchio porto mercantile che un tempo veniva usato per caricare le navi con i prodotti in pietra e le rocce pesanti che i prigionieri frantumavano a martellate e trasportavano dalle cave di pietra. Entrambi i porti sono protetti dai venti da nord e da est.

Con un investimento minimo, il porto di Melna avrebbe le potenzialità per diventare uno dei porti turistici più significativi dell'Alto Adriatico. Le dimensioni di questo porto sono circa la metà di quelle del grande porto turistico di Cherso (ACI Cres) e sarebbe fantastico se un investitore ritenesse opportuno ri-crearlo tenendo conto del ruolo estremamente interessante che esso ha avuto nella storia.

Per raccogliere l'acqua dolce di quest'isola arida e deserta, i prigionieri costruirono due grandi collettori d'acqua (circa 100 x 50 m) posando pietre sul terreno. Ci sono due canali di pietra aperti e poco profondi, lunghi circa 500 - 700 m, che partono dai collettori e servono un gruppo di edifici in due baie vicine, dove probabilmente c'erano vasche di raccolta dell'acqua.

Gli alberi, piantati dai prigionieri, che davano vita all'isola morta, furono testimoni silenziosi degli abusi subiti. Oltre agli edifici di servizio in cemento, ci sono anche delle splendide costruzioni in pietra, riparate da pini, proprio accanto al mare. Qui probabilmente alloggiavano il comandante e i dirigenti o, forse, questi erano i loro uffici ed è un peccato che, per via di intoppi burocratici, sia queste strutture che il resto del campo stiano cadendo in rovina. Sono edifici in pietra che meritano di essere restaurati e che potrebbero essere utilizzati come ville, appartamenti o anche come hotel.

Goli otok, Croazia

Nel passato gli abitanti dell'isola di Rab non hanno tratto molto beneficio dall’isola Calva. Ora però organizzano gite in barca e l'afflusso di turisti ha portato all'apertura del ristorante e di alcune delle strutture funzionali attualmente disponibili.

Varrebbe la pena di salvaguardare la storia di questo campo, talmente ben sorvegliato che, a parte un unico episodio documentato, era quasi impossibile fuggirne. Alcuni sopravvissuti hanno scritto libri, altri hanno condiviso le proprie storie e uno di questi, Vladimir Bobinac, ha raccontato in modo straziante la propria prigionia. Fu arrestato nel 1951 all'età di 18 anni, venne poi trasferito all’isola Calva e vi rimase rinchiuso per due terribili anni.

I prigionieri venivano iniziati a quella macabra vita passando sotto le forche caudine di circa 2.000 detenuti che li picchiavano e imprecavano contro di loro. Le loro vite divennero un inferno, come negli inferi dell'Ade, dove il metodo usato dalle autorità per distruggerli, mentalmente e fisicamente, era quello di istigare i detenuti ad abusare l'uno dell'altro. Diventarono parte di una massa di uomini sconvolti che si picchiavano, urlavano, imprecavano e si spiavano a vicenda. Di conseguenza, non potevano fidarsi di nessuno. In caso di punizione, erano costretti a svolgere lavori fisici pesanti. Come ha detto Vilim Lonćaric, autore di un libro intitolato "Bando, Sagni Glavu" (Bandito, abbassa la testa), "La forza umana è limitata. Un uomo può sopportare solo fino a un certo punto, poi inizia il declino morale".

Ogni sera dovevano subire gravi umiliazioni. La mattina ricevevano da mangiare polenta di mais insieme a qualcosa che assomigliava al caffè, e poi fagioli, a pranzo e a cena. Quando erano in punizione, non ricevevano cibo. Per questo motivo molti detenuti soffrivano di avitaminosi e la mancanza di vitamine faceva sì che molti diventassero ciechi. Erano luridi, puzzavano ed erano vestiti di stracci, cioè delle vecchie uniformi stracciate dei soldati.

Nel 1953, alla morte di Stalin, la situazione cambiò. Bobinac fu trasferito, insieme a molti altri, in Montenegro dove lavorò per tre mesi alla costruzione dell'autostrada Belgrado-Bar, dopo di che venne rilasciato. A causa della prigionia gli fu inizialmente difficile trovare lavoro, ma alla fine riuscì a ottenere un posto come insegnante di storia al liceo di Veglia (Krk). A partire dal 1994, dopo essere andato in pensione, è ritornato occasionalmente all’isola Calva finché nel 2014 è deceduto all'età di 91 anni.

Abbiamo alzato le vele e mentre seguivamo la brezza sul mare calmo e blu, in un silenzio di riflessione, eravamo ancora impressionati dalla potenza dell’animo umano, capace di sopravvivere a tante atrocità, ma anche di ritrovare la forza e la voglia di vivere. Bobinac si sentiva indissolubilmente legato a quest'isola e noi speriamo che il suo desiderio possa un giorno diventare realtà, che questo sito, cioè, possa essere salvaguardato come un monumento, a ricordo di un tempo che non dovrebbe ripetersi mai più.

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Informazioni generali:

GPS:    44° 50' N , 14° 49' E
Stazione di servizio più vicina 14NM - isola di Veglia o Rab

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Fotografie: Wikipedia


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